Battuta dall'esercito di liberazione vietnamita,
l'8 maggio del 1954 la Francia perde l'ultima
roccaforte dei suoi territori coloniali. E lascia…


DIECIMILA MORTI
NELL'INFERNO

DI DIEN BIEN PHU



Un'immagine della battaglia di Dien Bien Phu
in un dipinto del pittore italiano Aligi Sassu (1957)

di MATTEO SOMMARUGA
In una valle remota al confine fra il Laos e il Vietnam settentrionale, circondata dalla jungla, dalle coltivazioni di riso e di oppio delle popolazioni indigene, in quella che venne tramandata ai posteri come la Battaglia di Dien Bien Phu, si consumò l'episodio più drammatico del processo di decolonizzazione francese. Fra il 13 marzo e l'8 maggio del 1954, sotto il fuoco incessante dell'artiglieria dell'Esercito popolare vietnamita, debilitati dallo sforzo fisico, dall'insonnia e dalla mancanza di approviggionamenti, persero la vita quasi diecimila fra i migliori uomini di cui potesse disporre l'esercito francese. Con loro scomparve ogni velleità, da parte di Parigi, di porre fine a proprio vantaggio alla questione indocinese, ponendo le premesse per l'intervento americano e ulteriori interminabili vent'anni di instabilità nell'intera regione. La decisione, che avrebbe portato ai tristi avvenimenti, seppur costellati da episodi di singolare eroismo, dei 55 giorni in cui si svolse la battaglia, era stata presa mesi addietro dal tenente generale Henri Navarre, negli acquartieramenti del comando francese ad Hanoi. Navarre, che il 28 maggio del 1953 aveva sostituito al comando delle operazioni militari in Indocina il generale Salan, sarebbe stato, almeno per il decennio successivo, oggetto delle critiche sia della stampa francese e americana sia dei suoi sottoposti, considerato come il principale responsabile della disfatta francese.
Non minore dell'intensità delle accuse fu però l'entusiasmo con cui venne accolto l'avvicendamento fra Navarre e Salan. Il Time pubblicò un articolo in cui , parlando del nuovo comandante francese, si leggeva: "Un anno fa nessuno di noi avrebbe potuto vedere la vittoria. Ora la possiamo scorgere chiaramente, come la luce alla fine del tunnell". Il curriculum di Navarre era del resto degno di buona parte della fiducia che gli veniva riposta. Classe 1898, aveva ricevuto il battesimo del fuoco, da cadetto, sul fronte occidentale, nel maggio del 1917. Con la conclusione del primo conflitto mondiale fu assegnato a un reparto in Siria, dove per due anni partecipò ad azioni di antiguerriglia contro i ribelli arabi. Successivamente, dopo un periodo in Germania con le truppe di occupazione francesi e gli studi al Collegio Militare, dal 1930 al 1934 si trovò di nuovo impegnato in azioni antiguerriglia in Marocco. A partire dal 1937 venne destinato al Servizio Informazioni dell'esercito dove, fra il 1938 e il 1940, poco più che quarantenne, fu a capo della sezione tedesca. Con l'occupazione nazista, Navarre partecipò alle azioni di intelligence del movimento clandestino per poi assumere il comando del 5° reggimento corazzato Spahi. Poco dopo raggiunse il comando della V Divisione Corazzata in Germania e, prima della partenza per l'Indocina, ricopriva la carica di capo dello staff al comando delle truppe di terra della NATO in Europa centrale. L'ottimismo generale non corrispondeva però alla situazione effettiva del fronte. Nel Viet Nam settentrionale il controllo francese si limitava quasi esclusivamente alla zona del Delta del Fiume Rosso, all'interno della cui area è situata anche Hanoi, sotto la minaccia costante della guerriglia comunista.
Lai Chau, nel nordovest del paese, che il governo filofrancese aveva eletto a propria capitale, si trovava in una condizione ancor più critica, stretta nella morsa dei regolari dell'Esercito Popolare Vietnamita. Il sud della nazione si trovava in una contingenza relativamente più tranquilla. L'esercito
Un lancio di paracadutisti francesi in preparazione
di un attacco alle retrovie dei vietminh
rivoluzionario non era in grado di mantenere una posizione d'attacco, come accadeva al nord, ma stava rafforzando le proprie difese a nord di Nha Trang, dove occupava un'area in cui risiedevano 3 milioni di vietnamiti. La presenza della divisione 316 ai confini con il Laos rendeva inoltre non del tutto improbabile l'eventualità dell'invasione. Infine, il recente armistizio che aveva portato al termine la guerra in Corea, consentiva alla Cina di inviare ulteriori mezzi, e anche uomini, a sostegno dell'azione comunista. La cui propaganda, basata sull'idea della lotta all'imperialismo occidentale, stava oltretutto registrando un discreto successo. Le posizioni francesi soffrivano invece della scarsità di rinforzi, che giungevano dalla madrepatria con gran parsimonia, e del personale necessario in ruoli vitali come l'aviazione. Consapevole della necessità di una immediata azione in grado di contrastare e eventualmente prevenire l'attacco nemico, Navarre, dietro l'iniziale suggerimento del generale Cogny, a capo delle operazioni nello scacchiere settentrionale, prese l'infausta decisione di occupare Dien Bien Phu.
Il villaggio, al centro di un altopiano relativamente ampio e percorso dal fiume Nam Yum, aveva attirato l'attrenzione del comando francese sia per la sua prossimità con il Laos e Lai Chau, sia per la caratteristica pianeggiante del territorio che avrebbe facilmente permesso la realizzazione di una base aereo terrestre. Si trovava inoltre all'incrocio fra la Route 41 e la Piste Pavie, due vie di comunicazione al momento utilizzate dai comunisti per i propri rifornimenti. Circondato da alture elevate e da una fitta vegetazione, al punto da rendere oltremodo arduo, se non impossibile, il cammino perfino a unità di fanteria ben equipaggiate e abituate alle sfavorevoli condizioni del clima tropicale, si dimostrerà, nei mesi successivi, altrettanto adatta a venire stretta nella morsa della manovra avvolgente nemica. A Dien Bien Phu si trovava anche una pista aerea utilizzata più di una volta durante il secondo conflitto mondiale dalle unità alleate, nonostante fosse ufficialmente sotto il controllo della Repubblica di Vichy. Le unità dell'Esercito popolare vietnamita, che non disponevano di un'aviazione, preso il possesso della valle, agli inizi del 1952, avevano coscienziosamente sabotato la pista, ma la sua presenza era di estremo interesse per il comando francese.Soprattutto in un primo momento, quando si era pensato di utilizzare Dien Bien Phu per liberare dall'assedio la base di Na San, in seguito evacuata con successo grazie all'intervento dell'aviazione.
Il 20 Novembre del 1953, quando ebbe inizio l'operazione Castor, Na San era già caduta in mani nemiche, ma il suo assedio, che senza portare ad alcun sostanziale progresso logorava sensibilmente l'esercito insurrezionale, aveva infuso fiducia fra i vertici francesi.
Alle 5 del mattino
del 20 novembre
1953, un C-47
si dirigeva verso
Dien Bien Phu
Soprattutto in Navarre che, pur conscio dei rischi che avrebbe potuto comportare, aveva intravisto la possibilità di annientare parte delle divisioni nemiche attirandole in uno scontro a Dien Bien Phu. Negli stessi giorni in cui i francesi prendevano possesso del villaggio, il medesimo scenario era stato analizzato dai comandi dell'Esercito Popolare Vietnamita. Il generale Va Nguen Giap, il futuro artefice della vittoria, aveva accettato la sfida, conscio che, se l'intera macchina bellica comunista si fosse mossa con il vigore necessario, l'armata francese era chiusa in una trappola. Alle 5 del mattino del 20 novembre del 1953, un C-47 da trasporto, un due motori di fabbricazione americana, prendeva il volo dall'areoporto militare di Bach Mai, nei pressi di Hanoi. A bordo si trovavano il tenente generale Pierre Bodet, comandante in capo dell'aviazione francese in Indochina, il brigadiere generale Jean Dechaux, comandante di Gatac Nord, il gruppo tattico dell'aviazione cui facevano riferimento le azioni aeree nel nord dell'Indochina, e il brigadiere generale Jean Gilles, comandante delle truppe aerotrasportate.
Il velivolo si dirigeva in direzione di Dien Bien Phu con il duplice obiettivo di osservare se le condizioni atmosferiche sopra la valle fossero favorevoli per il lancio e, eventualmente, di sganciare le prime unità paracadutiste, con il compito di segnare le zone di atterraggio per le ondate successive. Alle 7:20 il maggior generale Renè Cogny, ad Hanoi, ricevette il messaggio che dava via libera all'operazione Castor. Alle 10:30 il 6° BPC ( Battaglione Paracadutista Coloniale ) del maggiore Marcel Bigeard e il II RCP ( Secondo Battaglione del Primo Reggimento della Fanteria Leggera Paracadutisti ), rispettivamente di 651 e 827 uomini, di cui 620 vietnamiti, facevano la propria comparsa nei cieli di Dien Bien Phu. Inaspettatamente si trovavano ad accoglierli, all'interno del villaggio, il 148° Reggimento Indipendente dell'Esercito Popolare Vietnamita e la 226° compagnia dell'Artiglieria Pesante, ma l'ampio raggio in cui avvenne il lancio, permise ai paracadutisti francesi di prendere posizione prima che il nemico potesse concentrare il fuoco su di loro. Alle 13.30 i 911 uomini del I BPC ranggiunsero la zona di lancio. Lo scontro, durato poco più di sei ore, si era concluso a netto vantaggio dei francesi, i quali avevano riportato solo 11 morti e 52 feriti. I vietnamiti avevano però saputo ritirarsi con ordine, sfuggendo alla possibilità di un accerchiamento e portando con sè gran parte dei feriti.
Lasciando comunque sul campo quasi cento cadaveri e la maggior parte dei documenti del reggimento. I giorni successivi videro i paracadutisti francesi consolidare la propria posizione senza però eccessivi sforzi nella costruzione di un solido sistema difensivo. Sarebbe stato il compito delle unità di fanteria che li avrebbero sostituiti. Oltretutto nei piani originali Dien Bien Phu sarebbe dovuta essere una base da cui lanciare brevi sortite contro le posizioni nemiche, piuttosto che una roccaforte capace di resistere ad un lungo assedio. I primi sforzi furono concentrati in operazioni di perlustrazione e nel recupero della pista aerea della base. Cogny, che nel frattempo aveva promesso a Gilles di sollevarlo dall'incarico della difesa della valle, aveva scelto di affidare il comando al colonnello de Castries. Christian Marie Ferdinand de la Croix de Castries era nato a Parigi 52 anni prima. La sua figura elegante e aristocratica ben si addiceva al suo lignaggio, uno dei più nobili di tutta la Francia. I suoi antenati avevano servito per secoli la propria patria, fin dal tempo delle Crociate: fra questi si potevano trovare un Maresciallo, nove generali e quattro luogotenenti reali. Ventenne, a una brillante carriera militare garantita dal proprio rango, preferì arruolarsi in cavalleria dove, dopo aver raggiunto il grado di sergente, entrò alla Scuola di Cavalleria Samour, come allievo ufficiale. Ottimo cavallerrizzo, nel 1933 e nel 1935 conquistò due titoli internazionali. All'inizio del secondo conflitto mondiale entrò, come volontario, nel Corps Francs, un'unità di tipo commando che si sarebbe distinta per il valore nella lotta contro l'occupazione tedesca. Catturato nel giugno del 1940, dopo aver opposto resistenza, con soli 60 uomini, a un intero battaglione della Wehrmacht, peraltro supportato da unità corazzate, riuscì a fuggire, il 31 marzo del 1941, dall'Oflag IV-D, un campo di massima sicurezza in Slesia.
Una pattuglia di soldati francesi in ricognizione
nella foresta bruciata dal napalm
Vi era stato confinato dopo altri tre tentativi di evasione. Fra il 1944 e il 1945 fu a capo di uno squadrone corazzato e nel 1946 venne assegnato in Indocina. Fra le motivazione della scelta di incaricare de Castries delle operazioni nella neocostituita base aeroterrestre, fu determinante l'esperienza del nobiluomo francese alla guida di unità mobili. Si reputava infatti che le caratteristiche della valle avrebbero consentito un modello di difesa, anche nel caso di una manovra avvolgente nemica, incentrata su azioni diversive e suppportata dall'impiego di unità corazzate. Ad affiancare de Castries nella difesa di Dien Bien Phu si trovò il tenente colonnello Pierre Charles Langlais, nato in Bretagna nel 1902. Dopo aver servito nelle truppe mehariste, il prestigioso corpo cammellato di stanza nel Sahara, e aver preso parte alle principali campagne nella seconda guerra mondiale, Langlais era giunto in Indocina nel 1945. Con l'avvicendamento al comando fra Gille e de Castries, e l'arrivo di unità di fanteria in sostituzione dei paracadutisti, stava per avere inizio la prima fase delle operazioni che avrebbero coinvolto Dien Bien Phu. Il 30 novembre elementi dell'8° battaglione d'assalto paracadutisti sotto il comando del capitano Pierre Turret, con il supporto delle unità T'ai da montagna del capitano Guilleminot, si apprestava a penetrare venti chilometri di jungla per minacciare, con azioni di disturbo, le linee di comunicazione dei Viet-Minh, come si facevano chiamere le truppe vietnamite comuniste. Con il medesimo scopo erano stati attivati alcuni commando coordinati dal maggiore Roger Trinquier e dipendenti direttamente dall'intelligence francese. La possibilità di dirigere un raid direttamente contro Tuan Giao, a nord est di Dien Bien Phu, principale punto di rifornimento dell'Esercito Popolare Vietnamita nella regione, fallì miseramente dopo due interminabili giorni di marcia attraverso la fitta vegetazione. Alle 9:45 del 5 dicembre del 1953 la compagnia di Turret aveva appena trasmesso via radio un messaggio in cui si parlava di sospetta attività nemica.
A quel punto i mortai Viet Minh aprirono il fuoco sulla fanteria francese che, solo con il provvido intervento della propria artiglieria, fu in grado di sfuggire alla carneficina. Sul terreno restavano quattordici morti e ventisei feriti. Il nemico aveva provveduto a cancellare le tracce della propria presenza portando con sè, come di consueto, feriti e cadaveri. La perquisizione di alcune salme che i comunisti non avevano fatto in tempo a nascondere portò alla luce informazioni ben più preoccupanti. L'imboscata non era stata tesa dalla guerriglia, ma dai regolari della 316° Divisione dell'Esercito Popolare. La morsa vietnamita intorno a Dien Bien Phu stava prendendo drammaticamente forma. Una sorte ben più drammatica sarebbe toccata, nei giorni seguenti a coloro che, in seguito all'evacuazione di Lai Chau, avrebbero dovuto raggiungere a piedi il campo di Dien Bien Phu. I notabili del regime vietnamita, assieme ai parenti più stretti, alla popolazione civile e gran parte delle truppe di stanza in quella che fino a pochi giorni prima era la sede del governo filofrancese, furono evacuati, con successo e senza alcuna perdita, dall'aviazione cinese. Altri dovettero aprirsi la strada nella vegetazione circostante, giocando una partita a scacchi mortale con i vietminh, i quali, disseminati per l'intero territorio, calarono sulle colonne nemiche con mortale precisione. Le perdite fra i francesi furono elevatissime e le numeroso missioni di soccorso, condotte con il supporto di una squadriglia di B-26, riuscirono a limitare solo in parte le ingenti perdite. I morti e i dispersi si contarono a migliaia, forse più di duemila.
Concluse le operazioni per l'evacuazione di Lai Chau, a Dien Bien Phu fervevano i preparativi per l'imminente scontro, ma, nell'illusione di riuscire a fermare l'avanzata nemica con azioni di disturbo, le missioni di ricognizioni continuavano a assorbire gran parte della forza lavoro della base.
Terra bruciata a Dien Bien Phu: un gruppo di
militari francesi in un drammatico scenario
Gli sforzi maggiori erano diretti a riaprire la strada che conduceva a Sop Nao, nel Laos, a cinquanta miglia di distanza. Le condizioni del territorio erano però tali da far ritenere vano qualsiasi tentativo anche al più attento osservatore.
Senza la minaccia diretta del nemico, nella vicina Burma l'esercito USA aveva infatti impiegato, nel corso della Seconda guerra mondiale, oltre diciotto mesi per costruire 120 miglia di strada, disponendo di mezzi ben più consistenti. L'operazione di ricognizione avrebbe assunto la duplice denominazione di Ardeche e Regate. Un primo gruppo, composto dal 5° Battaglione di Chaussers del Laos, comandato dal maggiore Vandrej e dal 5° Tabor marocchino, comandato dal maggiore Coquet, sarebbe dovuto partire dal Laos, mentre un analogo gruppo, guidato dal tenente colonnello Langlais sarebbe partito da Dien Bien Phu. Come gli operai francesi e italiani si incontrarono all'interno del traforo del Monte Bianco, così i militari si sarebbero incontrati all'interno della jungla, a metà strada da Sop Nao. L'evento venne salutato con entusiasmo dalla stampa, che poteva comunicare al resto del mondo la fine dell'isolamento di Dien Bien Phu. Il ritorno, sotto le costanti incursioni dei vietminh, non fu meno arduo e alla fine si ammise che sarebbero occorsi mesi alla realizzazione di una strada praticabile. Mentre i distaccamenti preposti all'operazione Ardeche celebravano il giorno di Natale nella fitta vegetazione indocinese, nella piana di Dien Bien Phu, dove la vegetazione aveva lasciato spazio a un enorme accampamento di 15.000 persone, venivano radunati i primi cingolati di quello che sarebbe diventato il nucleo delle unità mobili della piazzaforte. Costituito da carri armati leggeri, modelli M-24, familiarmente soprannominati bisonti dagli uomini di de Castries, avrebbe ricoperto un ruolo fondamentale nei momenti più difficili del lungo assedio. Dopo una serie di insuccessi e vittorie parziali, l'11 marzo del 1954 Langlais guiderà il secondo gruppo aerotrasportato per l'ultima volta in una operazione di ricognizione su larga scala. L'obiettivo era però ben più vicino, la collina 555, a soli due miglia di distanza, dove i comunisti stavano iniziando a scavare i trinceramenti e si apprestavano a scagliare l'attacco finale. Questo ebbe luogo solo due giorni dopo. In quel momento lo schieramento francese era acquartierato in una serie di piazzaforti e trinceramenti che, uno dopo l'altro, sarebbero stati condannati, a causa della penuria degli uomini, dei mezzi e della precarietà delle stesse strutture di difesa, penalizzate dall'endemica scarsità di materiale da costruzione, a cadere inesorabilmente sotto il fuoco nemico. Ogni posizione aveva assunto il nome di una donna.
I pettegoli, o forse i meglio informati, affermeranno in seguito che corrispondevano a quelli delle numerose amanti di de Castries. A nord, lungo la Pavie Track, si trovava Gabrielle, dotata di una batteria di mortai pesanti in grado di coprire la zona di atterraggio per gli aerei, a sua volta protetta dai bunker e dal filo spinato di Anne-Marie. Anne-Marie si trovava al centro dello schieramento. A est erano situate Huguette, Françoise e Claudine, a ovest Dominique e Eliane. Quest'ultima era minacciata da presso da due colline la cui occupazione, benchè di importanza strategica, era stata resa impossibile dalla scarsità degli uomini a disposizione. Dominique, pur trovandosi in una posizione privilegiata, in grado di dominare, a causa della quota delle postazioni, l'intera valle, era dotata di difese estremamente precarie, le uniche classificate come tali durante i sopralluoghi ufficiali. A nord ovest, a quota 506 si trovava invece Beatrice, lungo la Route 41. A sud Isabelle e Wienne che controllavano la striscia di atterraggio ausiliaria. Marcelle, dislocata lungo il fiume Nam Yum, a metà strada fra il nucleo principale dell'accampamento e Isabelle, era stata evacuata in seguito alle piogge monsoniche, quell'anno particolarmente intense, che avevano sensibilmente mutato l'aspetto dell'intera pianura. Con non pochi problemi per le squadre del genio e il lancio dei rifornimenti.
Gli uomini di Gabrielle, francesi
e nordafricani,
combatterono
fino all'ultimo
La pioggia non aveva però interrotto le linee di comunicazione dei vietminh, i quali potevano contare sul contributo di decine di migliaia di coolies, gli infaticabili lavoratori asiatici che non si risparmiavano, pur essendo stati nella maggior parte dei casi reclutati sotto la minaccia delle mitragliatrici, per portare a termine il proprio compito. Dove i camion Molotova non arrivavano, ci riuscivano le biciclette e dove le biciclette si dimostravano inutili potevano contare sugli animali da carico, quando anche quest'ultimi non erano più in grado di proseguire il cammino allora i coolies sostenevano il carico con la forza delle proprie spalle. Un'impresa non certo trascurabile considerando il terreno fangoso e le frequenti incursioni dell'aviazione francese sotto il cui fuoco, nonostante non vi siano cifre ufficiali, caddero probabilmente migliaia di vietnamiti.
L'intervento aereo, com'era fallito in Corea, così si era dimostrato del tutto inutile per fermare l'avanzata nemica e, nel marzo del 1954, il generale Giap poteva contare su una forza di combattimento di quasi 50.000 uomini, pari al 60% dell'intero schieramento comunista. I francesi abili al servizio erano meno di 15.000, circa il 4% dell'intero esercito in Indocina, e ormai non più in condizione di evacuare il campo. Erano però le truppe migliori di cui potesse disporre Parigi nell'Estremo Oriente e la loro perdita non sarebbe potuta essere sostenibile. Come previsto dall'intelligence, il momento tanto atteso ebbe inizio la sera del 13 marzo, alle 17.00. Una pioggia di bombe aveva iniziato a investire in pieno Beatrice, mentre Gabrielle doveva assistere impotente alla distruzione degli ultimi velivoli rimasti nella base. Il fuoco dell'artiglieria nemica era eccezionalmente preciso: così come era stata precisa la mimetizzazione dei cannoni la presenza dei quali era sfuggita, nei giorni precedenti, ai ricognitori francesi. Dopo poco più di un'ora i reggimenti 141 e 219 della 312° divisione dell'Esercito Popolare uscirono dalle trincee per scagliare il primo assalto. Gli uomini di Gabrielle, francesi e nordafricani, combatterono fino all'ultimo, spesso solo per salvare la propria vita all'interno della mischia, ma le perdite risultarono pesanti da ambo le parti. L'artiglieria nemica era oltretutto riuscita a portare a segno una serie di tiri diretti verso il comando della postazione, colpendo mortalmente lo stesso colonnello Gaucher, a capo della piazzaforte. La quale, pur proseguendo nella propria eroica resistenza, si trovava ormai priva di un comando. Alle 20.30 erano state interrotte le comunicazioni radio e gli uomini erano guidati dai sergenti maggiori e dai caporali non essendo sopravvissuto nemmeno un ufficiale. Gli obici dell'artiglieria pesante del colonnello Piroth riuscirono a contenere l'assalto per altre due ore, ma alle 2.00 della notte del 14 marzo il sergente Kubiak e i superstiti del 3° battaglione, assieme ad alcuni legionari, abbandonarono la postazione per rifugiarsi nella boscaglia, attendendo la luce del giorno per raggiungere i commilitoni.
Il colpo di maglio successivo venne sferrato il 15 marzo contro Gabrielle. Alle 3.30 della notte il bombardamento delle artiglierie viet-minh, rinforzato da due nuove batterie, iniziò, lento e inesorabile, a battere la piazzaforte. Le ondate della fanteria comunista vennero in un primo momento ostacolate dai proiettili delle mitragliere francesi, ma anche l'Esercito Popolare era ben equipaggiato e tre colpi ben assestati di bazooka furono sufficienti a indebolire la difesa. Fra le vittime giaceva il capitano Narbey, comandante della 1a compagnia; accanto a lui, gravemente ferito, il tenente Roux. Il gruppo rimase nelle mani di due caporali algerini, Noueredine e Abderrahman, mentre i mortai di Gabrielle soccombevano definitivamente sotto il fuoco dell'artiglieria nemica. La piazzaforte era però dotata di una seconda linea di difesa e i francesi erano determinati a non cedere il passo alle incursioni avversarie. Com'era successo per Beatrice anche le comunicazioni radio di Gabrielle cessarono improvvisamente. Feriti anche il maggiore Kah e il maggiore de Mecquenem, i più alti ufficiali in grado, il comando passò al capitano Gendre poco prima delle 5.00. I rinforzi da lui prontamente richiesti e almeno in un primo tempo garantiti da Langlais, tardavano però ad arrivare.
Un cimitero di caduti dell'esercito popolare
vietnamita (foto di Marylin Knapp)
Alle 5.30 ebbe luogo il contrattacco, guidato dal maggiore Seguin-Pazzis con l'ausilio dei cingolati del capitano Hervoet. All'azione presero parte, con indomito vigore, anche gli uomini della Legione Straniera, ma i vietminh penetrarono fulmineamente le falle lasciate aperte. Dopo aver riguadagnato per breve tempo la sommità della postazione, i francesi dovettero accettare la sconfitta e ripiegare. Alle 9:00 del mattino lo scontro poteva considerarsi concluso. Alcuni soldati di nazionalità francese e parigina combatterono fino all'ultima cartuccia, ma il loro accanimento fu vano. Con la caduta di Gabrielle, lo schieramento di de Castries si trovava in una situazione estremamente critica, esposto più che mai al tiro nemico, mentre anche i rifornimenti, che dovevano essere necessariamente aerotrasportati, scarseggiavano. L'aviazione francese si trovò per la prima volta in quei giorni nel bersaglio dell'antiarea vietminh. Quest'ultima, allestita grazie agli aiuti cinesi, era oltretutto particolarmente precisa, al punto da essere considerata migliore di quella tedesca nel corso della 2a Guerra mondiale.
Nei giorni seguenti la morsa dei vietminh sembrò allentarsi: probabilmente dovevano rinsaldare i ranghi dopo le perdite pagate per la conquista di Beatrice e Gabrielle. Il comando francese ne approfittò per lanciare una sortita contro le batterie nemiche e, alle 19.00 del 27 marzo, il maggiore Bigeard fu incaricato di effettuare una sortita verso il fronte occidentale dell'accerchiamento. I paracadutisti del 6° BPC piombarono sulle linee comuniste riuscendo a cogliere l'avversario di sorpresa e l'assalto, conclusosi con successo, seppur a caro prezzo, contribuì a risollevare il morale della guarnigione. Nel frattempo la stampa del mondo libero concentrava la propria attenzione sul destino di quelli che ormai erano noti come gli eroi di Dien Bien Phu mentre ad Hanoi si stavano individuando alcune soluzioni per uscire dall'impasse. Fra il 30 e il 31 marzo Dominique fu investita dall'assalto della 312° Divisione dell'Esercito Popolare. Presi dal panico in seguito allo scontro che aveva visto scomparire nel nulla gli algerini e i partigiani T´ai dislocati nel punto più basso della postazione, i fucilieri nordafricani iniziarono ad abbandonare il proprio posto e, presi dal panico, a fuggire in tutte le direzioni. I disertori, nei 55 giorni dell'assedio, raggiunsero la cifra di 4.000 fra francesi, marocchini, algerini e vietnamiti. Rifugiatisi su un'isola del fiume che attraversava la valle, furono soprannominati i Ratti dello Nam Yum. Nella notte, come topi affamati, si dirigevano verso l'accampamento per fare incetta di viveri. L'avanzata comunista si fermò poco dopo, quando, non potendo più contare sul supporto della propria artiglieria, i vietminh dovettero attestarsi su nuove posizioni. Anche Eliane era stata investita dall'attacco, ma i paracadutisti francesi e i legionari tedeschi seppero resistere con valore e condurre il contrattacco con successo; i marocchini del capitano Nicolas si distinsero per la tenacia con cui mantennero il proprio posto. Buona parte delle difese di Eliane e Dominique erano però ormai in mano avversarie e, mentre ad Hanoi si reclutavano i volontari per le ultime disperate missioni di rinforzo, a sud dello schieramente anche Isabelle rischiava l'isolamento. Huguette, che comprendeva l'area della pista di atterraggio, fu l'obiettivo successivo dei vietminh. Le truppe corazzate, i legionari e i paracadutisti, questa volta intervenuti per tempo, seppero però, almeno per la prima fase dello scontro, avvenuto fra il 3 e il 6 aprile, respingere l'assalto.
In quegli stessi giorni ripresero i combattimenti intorno a Eliane. I francesi, riconosciutane l'importanza strategica per la sopravvivenza dell'intero accampamento, avevano deciso di riconquistarla a ogni costo e il 10 aprile, dopo una settimana di aspri scontri, anche le posizioni più avanzate della roccaforte erano nuovamente nelle mani dei legionari. Fra il 12 e il 18 aprile Huguette doveva però sostenere nuovamente l'attacco dell'Esercito Popolare, questa volta più compatto, e i francesi, persa ormai metà della pista di atterraggio, dovettero ulteriormente ripiegare sul sistema difensivo denominato Opera, poco distante dal centro di comando. Con il rafforzamento delle posizioni comuniste anche i rifornimenti paracadutati quotidianamente si facevano più difficili. Le perdite, dovute all'imprecisione dei lanci, raggiungevano il 50%. Fra il 19 e il 21 aprile ebbe luogo la seconda e ultima fase della battaglia per Huguette. I legionari e i marocchini si ritirarono con ordine, mentre l'aviazione colpiva ripetutamente le nuove posizioni dei comunisti. Ma quando il contrattacco francese fallì a questi ultimi non rimase che accettare la sorte. Intorno alla fine di aprile caddero anche le precarie comunicazioni con Isabelle, ormai completamente isolata. La sorte di Dien Bien Phu sembrava ormai segnata, l'unica speranza era riposta nell'intervento americano. Gli USA, con le loro portaerei dislocate nel Pacifico, avrebbero potuto far intervenire l'aviazione contro lo schieramento vietminh, ormai ben compatto e facilmente localizzabile. Probabilmente l'azione sarebbe stata sufficiente per salvare quel che rimaneva della guarnigione francese, ma negli alti comandi americani prevalsero i timori delle conseguenze di una simile decisione. Non solo l'azione avrebbe infatti giustificato l'intervento cinese, ma avrebbe altresì posto gli Stati Uniti in cattiva luce di fronte all'opinione pubblica mondiale proprio mentre a Ginevra le Nazioni Unite stavano discutendo sulle sorti del Viet Nam. Le ragioni diplomatiche volevano che Dien Bien Phu tenesse fino all'ultimo, almeno fino a dopo la conclusione della conferenza. Navarre aveva autorizzato de Castries, in caso di estrema emergenza, a tentare una sortita, che in effetti avrebbe avuto le caratteristiche di una rotta, ma non ad alzare bandiera bianca. La sortita non fu possibile e, ormai stremati, gli uomini di Dien Bien Phu cessarono di combattere il 7 maggio. Alle 17.30 i vietminh, come concordato con una delegazione dei pochi ufficiali superstiti, occuparono le ultime postazioni rimaste in campo francese. De Castries e oltre 10.000 uomini caddero prigionieri. Combattere fino all'ultima cartuccia sarebbe risultato troppo costoso in termini di vite umane. Fra il 6 il 7 maggio alcuni uomini morirono, senza alcun segno apparente, per il solo sforzo fisico che avevano richiesto 55 giorni di combattimenti. Al ministro degli esteri francese Bidault non rimase che chiedere la pace. Una pace che si concludeva con la sconfitta di Parigi e la fine del sogno di riconquista dell'Impero. Fra i prigionieri solo pochi riuscirono a fuggire, alcuni tornarono nella madre patria anni più tardi, altri morirono di stenti nei campi di prigionia asiatici, altri ancora, come gli algerini, sottoposti al lavaggio del cervello, si troveranno a combattere, pochi mesi dopo, contro lo stesso vessillo sotto il quale si erano ricoperti di gloria.



Bibliografia

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